Il Castello
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MESE DI OTTOBRE
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Il Castello di Pietrapertosa si trova nella parte più alta del paese arroccato sulle sommità delle Dolomiti Lucane.
Il Castello è tornato fruibile grazie a un intervento di restauro che ha riportato alla luce le testimonianze medievali ancora presenti, accessibili con strutture moderne che denunciano l’inserimento del nuovo nell’antico, sono rimuovibili e proteggono dai danni provocati dal passaggio dei visitatori, le parti del castello scavate in una roccia che risulta particolarmente friabile.
Cenni storici
Le più antiche attestazioni relative alla presenza di strutture fortificate a Pietrapertosa risalgono agli inizi del primo decennio del secolo XI e provengono da un documento con il quale nel 1001 o 1002 il protospatario Gregorio Tarchaneiotes, Catapano d’Italia, ridetermina i confini tra Acerenza e Tricarico dopo aver scacciato da Pietrapertosa un gruppo di armati formato da Saraceni e Cristiani convertiti all’Islam e capeggiati da Loukas, probabilmente un greco-bizantino, divenuto musulmano insediatisi nel paese qualche anno prima.
La fortificazione evidenzia, finora, strutture databili tra i secoli XII-XIII ed il XVIII. Il suffeudo di Pietrapertosa, e quindi anche il castello, è attestato nel Catalogus Baronum (seconda metà del sec. XII), negli ordini della Curia angioina dell’anno 1278, relativi alla manutenzione dei castelli demaniali. Intorno alla stessa data si ha notizia dell’assegnazione del feudo e quindi del castello a Guglielmo de Tournespée, personaggio che ha seguito Carlo d’Angiò nella conquista del Regno di Napoli. In epoche più recenti il feudo e il Castello sono stati posseduti da alcune importanti famiglie del Regno quali i Carafa, gli Aprano, i Suardo, gli Jubero ed infine i Sifola.
Nel tempo la struttura si è evoluta dalla condizione di fortilizio verso quella di residenza baronale. Il progressivo abbandono dell’edificio nel secolo XIX sono la causa di crolli ed anche di parziali demolizioni effettuate nel primo dopoguerra.
Le testimonianze del medioevo
Gli scavi archeologici hanno permesso di individuare tre diverse fasi di ampliamento del castello, in direzione del portale di accesso, testimoniate dalla presenza dei resti di altrettante facciate. Nel momento di massima espansione la parte dell’ingresso era costituito da ben tre piani conclusi da un sistema di caditoie utilizzate per la difesa dell’ingresso. Alcuni edifici erano addossati alla roccia nella quale erano anche stati scavati alcuni ambienti. Su alcune pareti rocciose si leggono ancora le tracce dei tetti a falda degli edifici crollati. Alla cinta muraria verso il paese erano addossati alcuni edifici costituiti da un seminterrato e da un piano fuori terra, successivamente crollati.
A valle della cinta muraria, un grande terrazzo nel quale sono da completare gli scavi archeologici, costituiva uno spazio a servizio del castello ma con funzioni ancora non indagate e un probabile secondo accesso verso il paese. In questa zona del castello è presente una necropoli altomedievale, formata da sepolture ad arcosolio con le nicchie e lo spazio di deposizione scavati direttamente nella roccia di alcune guglie di arenaria, anticamente raggiungibili con scale rimuovibili. Un’altra guglia, invece, ospita un punto d’avvistamento isolato dalla cinta fortificata e scavato nella roccia. Infine una gradinata,ancora esistente, direttamente scavata nella roccia, conduceva sulla sommità del picco roccioso sul quale sorge il castello, che permetteva il controllo “ a vista “ di un ampio territorio.
Nel castello sono presenti due cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Nella più profonda si erano conservati, sepolti nella melma, i resti di un tronetto medievale in legno. In adiacenza del portale d’ingresso è venuta alla luce la gradinata originaria di ingresso al piazzale superiore ed una serie di murature addossate l’una all’altra, che testimoniano tre fasi di ampliamento della cinta muraria.
Alla fase medievale del castello appartengono un vano semirupestre, utilizzato a servizio della guarigione, un grande vano ipogeo suddiviso in due ambienti da un arco in pietra, in buona parte conservato sul posto e un piccolo ambiente scavato nella roccia che documenta la presenza di un stallaggio per animali. La cinta fortificata conserva testimonianze di tecnica costruttiva medievale caratterizzata dall’uso di diatoni in legno ovvero piccole travi lignee infisse trasversalmente nelle mura secondo una precisa maglia geometrica, per migliorare l’efficienza delle murature.